Alcune riflessioni sulla politica scolastica dell’Ulivo
Ad anno scolastico avviato, ad alcuni mesi dall’insediamento del nuovo esecutivo, credo si possa esprimere serenamente un giudizio complessivo sull’azione politica del governo ed, in particolare, sulle ricadute nel nostro settore d’intervento: la scuola.
Un giudizio che, a mio avviso, non può essere che negativo, in primo luogo, per quanto riguarda la cosiddetta politica del cacciavite adottata dal ministro Fioroni e dal sottosegretario Bastico nei confronti della Riforma Moratti.
Invece di intervenire decisamente con l’abrogazione (come richiesto dalla parte più attenta della categoria e della società civile), i responsabili del dicastero si sono limitati ad una semplice azione di sospensione (come nel caso del tutor o del portfolio) o peggio ancora, di proroga dell’attuazione di alcuni settori della legge (come nel caso del diritto-dovere).
Ciò che desta vera preoccupazione è il fatto che non sono stati minimamente toccati dalla politica del cacciavite i “Piani di studio personalizzati”, né tanto meno le “Indicazioni nazionali” che sappiamo bene, invece, costituiscono la filosofia ispiratrice della riforma.
Non vorremmo ritrovarci a fronteggiare di nuovo, da qui a pochi mesi, le proposte indecenti d’introduzione di Tutor più o meno mascherati, di portfolio, di spezzatini orario che mortificano le conquiste del tempo pieno e prolungato, di anticipi che rispondono più ad esigenze di servizio che non a reali motivazioni pedagogiche, avanzate questa volta, però, da un governo di colore diverso, ma pur sempre ispirato ai dettami del neoliberalismo e di aziendalizzazione della scuola pubblica.
Ma là dove la continuità e contiguità di questo governo risulta evidente nei confronti dei precedenti è proprio la legge Finanziaria, attualmente in discussione in Parlamento.
Dopo anni consacrati al taglio della spesa pubblica, al contenimento dei salari e alla salvaguardia delle rendite o – come nel caso dell’ultimo governo Berlusconi – addirittura alla diminuzione delle tasse ai ricchi, il minimo che ci si poteva aspettare dal nuovo governo era un radicale segnale di cambiamento.
Invece la legge presentata dal governo Prodi prosegue nella direzione dei pesanti tagli alla spesa pubblica e sociale (rispondendo in primo luogo alle richieste dell’Europa monetaria e delle banche), per di più senza dare alcuna reale garanzia che parte di questi vengano ridistribuiti ai lavoratori e/o servano a rilanciare l’economia e a creare nuovi posti di lavoro.
Così facendo, a pagare la riduzione del debito pubblico e il rientro nei parametri imposti dai Trattati europei sono e saranno ancora coloro che le tasse le hanno sempre pagate alla fonte: i lavoratori dipendenti e i pensionati.
Vengono distribuite elemosine per alcuni settori di lavoratori attraverso la revisione delle aliquote dell’IRPEF (ma non per i lavoratori della scuola che risultano penalizzati) e questi esigui benefici sono subito controbilanciati dall’aumento del bollo auto, dai ticket sul pronto soccorso e per prestazioni specialistiche, dalle inevitabili nuove tasse o i maggiori costi dei servizi che i comuni introdurranno per “rifarsi” dei pesanti tagli ai trasferimenti degli enti locali (meno 4,3 miliardi); contemporaneamente l’inflazione continuerà ad erodere il potere d’acquisto di salari e pensioni.
Al danno si aggiunge poi la beffa!
Prendiamo il caso della scuola: un sapiente uso dell’effetto annuncio (imparato evidentemente dai grandi maghi della comunicazione che guarda caso non si preoccupano di prestare il loro servizio a seconda dell’esecutivo al governo) che lasciava intravedere una massiccia dose di tagli e sacrifici ha fatto si che poi l’effettivo varo di una pessima Finanziaria è stata accolto quasi con un sospiro di sollievo dagli addetti ai lavori che hanno creduto di averla scampata bella.
Ma siamo veramente sicuri di averla scampata bella? Oppure la categoria sta per essere, per l’ennesima volta, presa in giro da un governo che in fase elettorale ha promesso grandi cambiamenti, ma ora stenta a mantenerli e dimostra, in sostanza, di voler soltanto riprendere il discorso interrotto cinque anni fa e che ha come elemento fondamentale la cosiddetta autonomia scolastica intesa come aziendalizzazione e privatizzazione della scuola pubblica.
Vediamo allora gli aspetti più salienti di queste dieci pagine dedicate alla scuola: l’art. 65 denominato “Costituzione del fondo di scuola” prevede che le scuole italiane siano ancora più “autonome” nella gestione amministrativa e dei servizi nel senso che il ministero della Pubblica istruzione verserà direttamente nelle casse scolastiche l’ammontare dei finanziamenti che le scuole hanno ricevuto finora dai CSA, senza, però, più possibilità di chiedere ai CSA perequazioni ed aggiunte.
Non ci sarà, però, alcun incremento della cifra, si fotografa semplicemente la situazione così com’è, né tanto meno c’è alcuna restituzione alle scuole degli oltre 600 milioni di euro tolti negli ultimi 5 anni.
E’ il trionfo dell’Autonomia scolastica intesa come autogestione della miseria: se con i soldi del maxi-capitolo le scuole dovranno pagare tutto, dal materiale didattico, al materiale per le pulizie fino alla Tarsu e alle supplenze, saranno inevitabilmente costrette a ridurre ulteriormente i fondi destinati alla didattica e alla realizzazione del Piano dell’offerta formativa.
Ad una lettura superficiale dell’art. 66: “interventi di rilancio della scuola pubblica” , si potrebbe dedurre che la finanziaria non preveda tagli nella scuola, a differenza di altri comparti pubblici, poi esce fuori il Taglio di 16.000 cattedre da attuarsi a partire dal prossimo anno scolastico rivedendo i criteri di formazione delle classi e incrementando il rapporto alunni/classe di 0,4, cioè portandolo dai 18 (dato OCSE) a 18,4.
Se poi a questi si aggiungono la previsione di abbattimento delle ripetenze nei primi due anni di
corso delle superiori che dovrebbe comportare dal 1° settembre 2007 la riduzione di 1.455 posti di docente e di 425 Ata (cosa non si fa per risparmiare!), il rientro in classe dal 2007 di docenti specialisti nella scuola primaria che fara’ risparmiare 8.000 posti e altri 4 mila per l’anno dopo (riprendendo così l’obiettivo del precedente Governo di affidare solamente ad insegnanti comuni, opportunamente specializzati, l’insegnamento dell’inglese), il numero di docenti che scomparira’ dagli organici degli istituti professionali per effetto della riduzione d’orario delle lezioni (con il conseguente avvicinamento dei professionali all’istruzione tecnica ed ai licei, perseguendo di fatto il modello morattiano) e quelli che subiranno la riconversione professionale, si fa presto a raggiungere un numero che si attesta oltre 50.000 unità.
Neanche gli insegnanti di sostegno si salvano dai tagli: si prevede (e questo non è male) il superamento del rapporto 1 docente di sostegno ogni 138 alunni, ma si passa ad un meccanismo non automatico, ancora più burocratico e selettivo gestito dalle Asl e dagli uffici scolastici regionali.
E’ una finanziaria che non prova nemmeno a risolvere i guasti avviati negli anni precedenti.
Si ripropone l’annosa questione del Personale inidoneo in mobilità: ai colleghi che per varie patologie non sono più in grado di insegnare, si ripropone l’alternativa tra la mobilità anche intercompartimentale ed il licenziamento, semplicemente spostando al 31/12/2008 una norma iniqua che ha voluto il governo Berlusconi e che doveva essere cancellata; non si ipotizza minimamente la restituzione dell’indennità di missione per i docenti abrogata dalla scorsa Finanziaria, né tanto meno ci sono risposte per gli 80.000 lavoratori ATA ed ITP, trasferiti dagli enti locali allo Stato, che aspettano il riconoscimento del giusto inquadramento così come stabilito con ripetute sentenze della Corte di cassazione.
Per sanare tale situazione ci si aspettava l’abrogazione del comma 218 della Finanziaria 2006, ma anche in questo caso l’attuale governo ha preferito continuare a percorrere la via battuta dal precedente.
Uno dei punti più pubblicizzati di questa finanziaria è quello relativo alla lotta al precariato: anche in questo caso, però, se leggiamo con attenzione la norma ci rendiamo conto, in primo luogo, della risibile proposta di assumere solo 20.000 ATA e del fatto che la legge non parla di assunzione certa di 150mila unità, ma piuttosto di un piano triennale la cui concreta fattibilità dovrà essere verificata di anno in anno.
Ancora più paradossale, se non addirittura offensiva, è la proposta di abolizione del doppio canale di reclutamento (art.66 comma 1 lett.c), per cui dal 2010 cesserebbero di avere efficacia sia le graduatorie permanenti, sia le graduatorie di merito dei concorsi ordinari.
Forse non esistendo più sulla carta le graduatorie, sarà finalmente risolto il problema dei precari? Chi sarà assunto a tempo indeterminato per quella data sarà a posto, mentre chi non ce l’avrà fatta rimarrà nell’indeterminatezza, pur possedendo i requisiti e il diritto all’assunzione definitiva.
Anche per quanto riguarda il rinnovo contrattuale la situazione non è migliore: la Finanziaria ha stanziato 1,2 miliardi per il 2007 e 3,2 per il 2008, pertanto, grazie a Berlusconi il 2006 rimane quasi completamente scoperto, ci sono a malapena i soldi per la “vacanza contrattuale” pari ad incrementi retributivi dello 0,5% a partire da aprile 2006 che diventa 0,8 il 1° luglio 2006 (15 euro lordi medi mensili) e grazie a Prodi per il 2007 avremo solo circa 30 euro lordi di aumento mensili.
Un risultato addirittura inferiore al contratto 2004-2005, rinnovato con il governo Berlusconi!
Ma non è finita qui: l’art. 68 C. 12 (fortemente voluto dal ministro Fioroni) sancisce l’incremento di 100 milioni di euro, in aggiunta ai già cospicui finanziamenti previsti a sostegno delle scuole non statali e in particolare delle scuole private paritarie, mentre l’art. 68 C.1 e 2 stabilisce l’innalzamento dell’obbligo a 16 anni da assolvere, però nel doppio canale: in questo modo viene riconfermato l’impianto classista della controriforma Moratti che prevedeva appunto la biforcazione precoce tra il canale dell’istruzione e quello della formazione professionale delle regioni, attraverso la partecipazione impropria di strutture formative a cui si affida il compito di prevenire e contrastare la dispersione e di favorire il successo scolastico, compito che, invece, secondo me, appartiene alla scuola ed alle sue capacità professionali.
Ciliegina sulla torta: il capitolo pensioni.
Viene anticipato al luglio 2007 l’avvio dell’introduzione “volontaria” del Tfr nei fondi pensione complementari, con la “truffa” del silenzio-assenso; ma non solo: l’esistenza del protocollo “segreto” firmato da governo e Cgil-Cisl-Uil, in cui viene stabilito marzo 2007 quale data per ridurre ulteriormente i rendimenti pensionistici e ad innalzare l’età pensionabile, non fa che “differire” ciò che qualcuno avrebbe voluto “incassare” già con la manovra finanziaria.
Mi sembra che ci siano motivi più che sufficienti per scioperare venerdì 17 novembre; una scelta che non si effettua mai a cuor leggero, ma ritengo che sia giunto il momento di operare un discrimine fra chi, allineato al governo, approva in maniera pedissequa la finanziaria e tuttalpiù svolge un’azione da pompiere e chi, invece, chiede un’inversione di rotta rispetto al governo precedente e chiede che si risolvano, una buona volta, seriamente i problemi della nostra “istituzione scuola”.
Stefano Lonzar