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RIFORMA MORATTI, INVALSI E “VALUTAZIONE” di Camillo Di Gregorio

La valutazione nella riforma Moratti

Nella legge Legge 28 marzo 2003, n. 53 sono vari i riferimenti alla valutazione, sia del sistema scolastico, sia degli studenti.

Innanzitutto la legge prevede l’istituzione di un Servizio nazionale del sistema scolastico con l’art.1 comma 3 mentre l’art. 3 della stessa legge tratta della Valutazione degli apprendimenti.

La riforma Moratti in origine intendeva sopprimere la possibilità, per i docenti, di decidere, in base alla situazione del singolo alunno, della promozione o meno anno per anno, e prevedeva la valutazione degli alunni solo ogni due anni. Sono intervenuti vari deputati per poter ripristinare la facoltà per i docenti del singolo consiglio di classe, sulla base dei risultati acquisiti e delle valutazioni, di decidere sull’ammissione dell’alunno all’anno successivo o fargli ripetere anche il primo anno.

La riforma attribuisce al Servizio nazionale di valutazione del sistema scolastico col compito di effettuare “verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e le abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche e formative” (art. 3).

La “valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamento degli studenti del sistema educativo di istruzione e di formazione, e la certificazione delle competenze acquisite” è affidata invece agli insegnanti, che sono anche responsabili della promozione o meno degli studenti alla fine di ciascun anno scolastico.

La riforma identifica quindi due livelli di valutazione: la valutazione interna, affidata ai docenti, e la valutazione esterna, affidata all’Invalsi.

La valutazione esterna provvede alla verifica di “conoscenze” e “abilità”, mentre ai docenti è affidata la verifica dell’acquisizione da parte degli studenti delle “competenze”.

A che cosa serve la valutazione INVALSI ?

Ma allora, visto che la valutazione Invalsi non deve verificare competenze, ma solo conoscenze e abilità, quale dovrebbe essere lo scopo della valutazione esterna?

La domanda è d’obbligo soprattutto alla luce di alcune osservazioni sui cosiddetti “progetti pilota” INVALSI realizzati negli ultimi anni.

I test INVALSI si sono estrinsecati nella somministrazione di prove di comprensione, di lettura, di matematica e di scienze a studenti di vari livelli scolastici e hanno sollevato varie perplessità sia sulla validità delle prove sia sulla attendibilità dei risultati.

I test Invalsi si limitano a sondare gli apprendimenti degli studenti in alcune discipline, senza considerazioni sul contesto sociale o culturale o sui livelli di partenza degli allievi; i test vengono in genere effettuati nel mese di febbraio e non è mai chiaro se le prove si riferiscano agli apprendimenti maturati nell’anno scolastico in corso oppure in quelli precedenti.

Il guaio è che queste rilevazioni INVALSI stanno per diventare obbligatorie e sulla base di esse si rischia una “classificazione” delle scuole ingiusta, completamente inattendibile e priva di qualsiasi validità scientifica.

Ma, come se questo rischio non bastasse, anche la commissione ARAN, MIUR, CGIL, CISL, UIL, SNALS per l’attuazione dell’art. 22 del vigente CCNL Scuola, nel documento conclusivo del 24 maggio 2004, rincara la dose, ventilando l’ipotesi di usare i test INVALSI per la valutazione dei docenti; nel citato documento del 24 maggio 2004 si legge testualmente:

“L’individuazione di uno sviluppo di carriera dei docenti, con l’introduzione di una dinamica retributiva e professionale cui ogni docente può volontariamente aderire non legata al solo indicatore dell’anzianità di servizio, richiede quindi che si considerino tutti quegli aspetti che caratterizzano la storia professionale di un docente: l’esperienza, il sistema dei crediti, la valutazione come supporto all’attività didattica e verifica degli esiti e la previsione di una fase transitoria. Tra gli strumenti a tal fine necessari si conviene che l’istituzione di un sistema nazionale di valutazione del sistema scolastico possa costituire un utile strumento da intrecciare con i processi di valutazione interna.” “La questione della valutazione può essere suddivisa in due parti, l’una di carattere prevalentemente individuale/soggettivo, relativa cioè al contributo che un docente fornisce all’istituzione scolastica in cui opera, l’altra prevalentemente oggettiva e che riguarda, appunto, l’efficacia dell’azione formativa dell’istituzione scolastica nel

suo complesso cui ogni singolo docente contribuisce.” “E’ necessario che questo avvenga in termini trasparenti, imparziali e condivisi. A ciò può contribuire la valutazione della qualità e dell’efficacia dell’intera istituzione scolastica in relazione alla definizione di standard nazionali.”

Quale valutazione è più importante?

Sono state considerate tre “valutazioni” interconnesse tra loro: quella delle istituzioni scolastiche, quella dei docenti e quella degli studenti.

E’ giusto che lo Stato sperperi una quantità notevole di risorse finanziarie per procedere alla valutazione esterna delle singole istituzioni scolastiche?

Se le Scuole fossero veramente autonome , dotate delle risorse necessarie e di piena ed effettiva libertà di azione, sicuramente la risposta alla domanda precedente sarebbe SI: lo Stato dovrebbe inevitabilmente valutare gli Istituti scolastici ai quali ha concesso tutti i mezzi e i poteri per operare bene.

Ma in Italia le cose non stanno così; la cosiddetta “autonomia scolastica” è solo un termine privo di qualunque riferimento alla realtà effettiva delle cose; in realtà le Istituzioni scolastiche devono applicare una normativa piuttosto rigida e possono esercitare la loro autonomia solo su alcuni dettagli completamente insignificanti.

Gli Istituti scolastici (e di riflesso anche i docenti) italiani devono essere considerati solo dei meri esecutori e non dei soggetti autonomi.

La valutazione (che non a caso accomuna Istituzioni scolastiche e docenti) di cui si sta parlando tende quindi, necessariamente, a valutare, non chi ha le migliori iniziative, ma chi esegue meglio le direttive.

Questo tipo di valutazione potrebbe a priori anche avere un senso: lo Stato valuta chi esegue meglio le sue direttive ottenendo i risultati migliori.

Ma, in tal caso, lo Stato, prima di valutare, dovrebbe cercare di dare delle buone direttive tendenti a far funzionare in modo ottimale tutte le scuole.

Ma, allora, visto che la politica dei vari governi che si sono succeduti ha messo le Scuole italiane in condizione di funzionare molto male, che cosa vogliono valutare?

E’ i caso di ricordare ai nostri governanti (presenti o passati) che:

1) in qualunque sistema scolastico la valutazione più importante è quella degli studenti;

2) la valutazione degli studenti in Italia è ancora quella elaborata all’epoca della riforma Gentile;

3) sono stati aboliti tutti gli strumenti (esami di riparazione ecc.) che in passato consentivano a tale valutazione di funzionare;

4) con la farsa dei debiti formativi molti studenti sono promossi ignorando completamente materie fondamentali (altro che competenze) senza che vi sia nessun tentativo di reale recupero;

5) la normativa attuale costringe i docenti a promuovere quasi sempre gli alunni che non studiano anche in presenza di gravissime lacune; respingere un alunno è possibile solo in casi estremi.

In altre parole l’antico modo di valutare (che comunque risale all’epoca in cui la Scuola italiana sfornava i migliori diplomati di tutta Europa) gli studenti oggi non funziona più; in queste condizioni neanche gli insegnanti migliori possono fare molto.

E’ appena il caso di ricordare che il processo dell’apprendimento richiede la partecipazione attiva dello studente, che quindi deve essere responsabilizzato; uno studente molto attivo conseguirà una buona preparazione anche in presenza di un mediocre insegnante; mentre è noto che neanche i migliori insegnanti possono fare molto in presenza di allievi che non vogliono apprendere, soprattutto se gli allievi sono inseriti in classi di 30 alunni (oggi è la regola) dove i miracoli diventano ancora più difficili.

Nessuno auspica il ritorno alle bocciature o agli esami di riparazione, ma non si può ignorare che la Scuola deve essere una cosa seria.

Ma allora la cosa più urgente che dovrebbe fare un Ministro dell’Istruzione in Italia è quella di spazzare completamente via le poche tracce residue (ormai non più funzionanti) della vecchia valutazione degli studenti e di elaborare in tempi brevi un nuovo e moderno modo di valutare gli alunni che sia pienamente funzionale e consenta effettivamente di verificare il raggiungimento delle necessarie competenze, conoscenze ed abilità da parte degli studenti e garantisca il reale recupero in caso di mancato conseguimento degli obiettivi.

Ma di tutto ciò nella riforma del ministro Moratti non vi è alcuna traccia, anzi il testo iniziale della riforma prevedeva addirittura la possibilità di respingere l’alunno solo ogni due anni, peggiorando la già grave situazione attuale.

E dire che il Ministro Moratti ha avuto il coraggio di dichiarare in televisione che con la sua riforma aveva risolto i problemi della scuola italiana; non sa il ministro Moratti che anche dopo la sua cosiddetta riforma molti studenti che non studiano continueranno ad essere immeritatamente promossi (in ossequio alla normativa) allo stesso modo di quelli che studiano con molta fatica e impegno?

Fino a quando vi sarà ancora qualche studente che studia?

In presenza di tale macroscopico problema, che rischia di affossare completamente la Scuola italiana, è quindi completamente fuorviante proporre la valutazione delle istituzioni scolastiche e dei docenti tramite i test Invalsi.

E’ molto opportuno quindi che.i Collegi dei docenti deliberino di non aderire ai test Invalsi.

Camillo Di Gregorio

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